Lezione di Rosaria Lo Russo: “Vestire gli ignudi” dal volume “Il riparo delle sillabe e delle parole” a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi
Essere toccati a sufficienza. Ricevere il tocco come un vestito. Rivestire con le mani un corpo nudo per perimetrarlo, consegnargli presenza, misura, è il lavoro della madre, di ogni madre mammifera, con il suo cucciolo inconsapevole della propria identità appena nata. È forse la legge di natura più sostanziale, quella senza la quale la creatura morirebbe. È il calore del vestito donato che dona l’identità, che determina la presenza del nostro corpo al mondo. È vero per la carne e tanto più per lo spirito della persona che deve imparare a vestire un Sé.
Nel mirabile fregio dell’ex Ospedale del Ceppo Paolo Iacuzzi, durante una bellissima passeggiata nel centro di Pistoia, mi fa notare che non solo la povertà nuda viene dotata di vestiti dai misericordi ma che fra i questuanti lo scultore ha rappresentato una categoria nuda particolare: le donne sole, le madri solitarie, le ragazze madri violate, le donne fuori ruolo. Persone nude di un Sé sociale che conferisca indipendenza e dignità. La parabola della minorità femminile che pervade, a tratti con toni gloriosi, a tratti come franca materia tragica, grande parte della nostra storia letteraria. La figura femminile viene rivestita di panni allegorici, proiezioni delle idee e delle volontà dei suoi “beneficiari”, dallo Stilnovo alla modernità.
La presenza femminile è un corpo vile da rivestire di uno status deciso dall’ordine sociale. (…)