da “Folla delle Vene”
di Paolo Fabrizio Iacuzzi
Dalle “Didascalie”
IL MUSEO CHE DI ME AFFIORA
E’ ancora lui il fratello a ispirarsi alla folla.
Arlecchini in abiti consunti. Lavati di grazia e di dolore
nelle vene di città il circo con le bici sospese tra
Comune e Campanile. Il senso di paura nel coraggiosospeso in aria. Tute rosa guanti arancio coni rossi
innalzarsi e sfigurare il tempo. Per mito del teatro
di tenda scesi dall’alto da pulpiti e arredi. I palpiti
della folla. Le vene della città che sale e che scende.Piazze fino al cardiopalma. E sulla Sala i mangia-
fuoco e i ballerini scesi dai banchi per suono di banda.
Gli uccelli in fiera nell’Arcadia Viale Malta. Paratatra i santi e i morti nella notte. Si accende il primo
falò delle castagne. L’incenso mescolato al tanfo
delle bestie. La tenda a strisce senza rete ai trapezi.
ROSA ROSAE ROSAE
(per “Lotofagie” di Luca Caccioni)
Un colpo d’ala e la rosa s’infiamma. Lo sente il muro
che arso si arroventa. Dove l’oblio della storia del padre
tocca l’apice della bandiera. E forse nel cortile gli uccelli
fanno a turno per sfidare i medicamenti degli afidi.Così una volta potavi le rose. Coi guanti di pelle pesanti.
Sporchi a fine serata. Nell’orto esposto al mezzogiorno
della piana. Non erano le tue preferite. Le rose tenute
basse per non urtare gli iris. Mentre l’albero dei lotiprotervo si allargava anno dopo anno dal bastione.
Rosa rosae rosae. Resterò per sempre orfano di questo
declinare e fiorire. Globi d’arancio. Luce del cielo altrove.Le rose appena sollevate. La tenda stesa sulle sementi.
Il muro ruvido. Il tuo amore intatto che spezza un’ala
al gabbiano sfigurato. Volo. Nella tromba del Giudizio.
Da “Il tempo degli amici”
Non c’è più tempo amici per le cose.
L’ho capito da un colpo di tosse più profondo.
Da un cedimento del costato per un colpo di tosse
più aggressivo. Vi sedete per l’ultima traduzione.Siete gli apostoli attorno al corpo dell’Amato.
Scegliete le parole per capirci o per non capirci.
Ma il vento entra dalla Cattedrale accanto senza porte
né finestre. Pile di vocabolari. Scatole di biscotti.Hanno parole dolci ma impervie. Sinonimi di verbi.
Antonimi di fiori. Siamo fuoco e cenere del senso.
Da “La bici con le scarpe”
Io vi rivedo cari non ancora morti. Ma fissi dentro
il museo che di me affiora sulla lastra rosa. Mentre
mi sfilo le scarpe nello stanzino buio. Mentre m’infilo
le scarpe e giro la testa a sinistra. Dove c’è un quadroal muro. Dove la cornice di legno chiaro cinge una coppia
di fidanzati. Lui è sul sellino. Lei è sulla canna. Chi saranno
il bambino non sa. Non può sapere il viaggio la strada
il mondo che è stato. Prende la bicicletta la stampa dentrodi sé. Servirà la mappa da grande. Gli servirà l’amore
svelato. Insieme lui fischia e va. Mentre lei sulla canna
sta nel bilico. Gioco da equilibristi per essere dei clown.Non vi è servita la bicicletta. Non siete mai stati in viaggio.
Siete invecchiati cercando qui il punto di fuga. Il vostro
amore scagliato dentro di me. La Natura a Lei gradita.
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